QUESTO ARTICOLO E’ LA BELLA TESTIMONIANZA DEL SIGNOR DUBINI E DELLA SUA VITA CON I MERAVIGLIOSI LABRADOR.

Il ricordo del mio primo Labrador risale a circa cinquant’anni fa. Era il cane di mio nonno e si chiamava Febo. Da allora in casa Dubini di Labrador, rigorosamente neri, ne sono passati tanti ma quello mi è rimasto impresso perché, appunto, era quello che mi aveva dato l’imprinting. Ho scritto neri perché, all’epoca, esistevano solo quelli e se anche non fosse stato così i neri erano meno visibili dalle prede durante le battute di caccia. Mio nonno aveva comprato dei terreni nel cremonese (dove già aveva delle proprietà), in cui estraevano la torba che poi, lavorata nelle fornaci Anselmi, diveniva materiale da costruzione. Quei terreni vennero trasformati in lanche (specchi d’acqua attorniati da canneti) ideali per attirare gli acquatici di passaggio. Il nonno creò quindi una riserva di caccia che non era niente male dal punto di vista sia ambientale che ornitologico. Prevalentemente vi passavano, e stazionavano, germani, marzaiole, fischioni, quattrocchi, ecc. Insomma tutta una serie di anitre destinate, più o meno, a finire sotto il piombo della mia famiglia. Naturalmente la riserva attirava anche i bracconieri e il nonno la dotò di un guardiacaccia (il Piero: mi scuso dell’articolo ma a Milano si usa così e così veniva chiamato) che aveva l’abitudine di “parcheggiare” la sua seconda bicicletta contro il casotto di paglia posto all’ingresso della stessa. Questo serviva, secondo lui ma io ho i miei dubbi, a sviare le mire dei bracconieri che credevano che lui fosse lì, sempre. Ho introdotto la figura del guardia-caccia per raccontare, in breve, il rapporto tra lui e Febo. Vivevano in simbiosi camminando fianco a fianco, tanto da sembrare legati uno all’altro da un guinzaglio invisibile. Mio padre si stupiva che il Piero negasse ogni “addomesticamento” del cane sul restare, sempre, al suo piede. L’immancabile risposta era “lui sa” e la cosa finiva lì fintanto che degli altri cacciatori, ospiti della nostra famiglia, ponevano la stessa domanda a cui seguiva, immancabile, la stessa risposta “lui sa”. Quindi il cane, evidentemente, aveva capito da solo come comportarsi. Era bello vederli camminare insieme fianco a fianco. Il Piero vestito sempre uguale o quasi. Nella bella stagione, a caccia chiusa, faceva il giro d’ispezione con stivali corti. Unica concessione al suo abbigliamento che contemplava coppola di tweed e pipa perennemente in bocca e rigorosamente spenta. Un vezzo o una necessità di non essere sentito dalle anitre? Non è che io amassi molto quelle zone in quanto da piccolo ( e per svariati anni a venire, fino al momento in cui potei ribellarmi), quando la domenica si andava a caccia, mi toccava fare la levataccia rinunciando a dormire per partire che ancora faceva buio. Si arrivava in campagna che iniziava ad albeggiare con un freddo becco. Molte volte c’era la nebbia che acuiva quel senso di freddo che non ti lasciava più fino al momento di salire in auto per rientrare a casa. All’epoca non esistevano gli abbigliamenti tecnici che abbiamo oggi….. Io rimanevo a congelarmi immobile nel capanno di paglia mentre i miei parenti ci davano dentro con i fischietti per le anitre. Seguiva la sparatoria e il tuffo del Labrador che si dirigeva ad acciuffare, e riportare, la preda. A volte mi domandavo come potesse vedere attraverso la nebbia visto che tornava a riva sempre con l’anitra tra le fauci. Forse veniva anche guidato dal guardia-caccia ma anche se così fosse stato non davo peso alla cosa e quindi ora non ne ho la certezza. Naturalmente l’acqua era gelida e non ho ricordi di cani lasciati a casa perché malaticci o con coda morta… Un giorno Febo volle farmi un “regalo” recuperando dall’acqua, senza che nessuno gliel’avesse chiesto, una biscia multicolore. Mi trovavo tra due lanche su uno stretto sentiero. Cosa fare? saltare nell’acqua gelida per “salvarmi” oppure sperare che il cane lasciasse il regalo che si dimenava arrotolandosi e srotolandosi dalla sua testa? Per fortuna intervenne mio padre che eliminò il problema. Anche qui son passati circa cinquant’anni ma serbo ancora il ricordo del terrore stampato sul mio viso. Per la cronaca la biscia era innocua…. Quando su un cenno di mio nonno il Piero preparava i cani per l’uscita, il Labrador si presentava alla rete del canile con la ciotola in bocca e dimenando il posteriore, felice di uscire. Fin da bambino desideravo un Labrador e ho dovuto aspettare cinquant’anni per realizzare il mio sogno. Nel frattempo in casa nostra di cani di questa razza ne sono passati tanti perché imbattibili per il recupero degli acquatici. Avuto il benestare da mia moglie (i figli non erano più piccoli da un pezzo…) e l’aiuto del mio secondogenito Pietro finalmente il cane è arrivato. Era il momento giusto per lui per entrare in famiglia! Rigorosamente nero (per me il Labrador è così) l’ho trovato presso l’allevamento Intipama nel parmense. Era l’unico maschio nero. Non poteva essere che lui. Ho quindi realizzato il mio sogno di bambino. Ora Intipama Iron Rover ha due anni e si è perfettamente integrato in famiglia (oppure noi con lui. Dipende dai punti di vista). L’allevatrice, Prisca La Franca, ci aveva assicurato che sarebbe stato un cane quadrato come il padre. Aveva ragione. Docile, affettuoso, ubbidiente e, soprattutto, non ha mai, dico mai, rovinato nulla in casa. Ci guardiamo negli occhi e ci capiamo perché “lui sa”. P.S. il Piero, ormai anziano, morì d’infarto nella macchina di mio zio al rientro da una caccia. Fino a un attimo prima stavano parlando della giornata appena trascorsa. Credo che avrebbe voluto morire così se avesse potuto scegliere.